mercoledì, dicembre 16
domenica, dicembre 13
Live from Foppolo, Atto III
Con un po' di ritardo pubblico questo aggiornamento mandatomi da Robbie settimana scorsa, il nostro uomo ha aperto a sua volta un blog, aggiornato quasi quotidianamente. Per chi fosse interessato il link è QUI. Io lo consiglio caldamente, perchè, va ricordato, la catapulta del sud è arrapante anche quando scrive.
Ieri finalmente ha smesso di piovere/nevicare/grandinare. Così, quando alle 7 la sveglia è suonata, ho fatto una rapida colazione e mi sono capottato per le strade di Plužine. Strade che mi piacerebbe poter dire deserte ma che in realtà, la mattina, sono animate dai bambini diretti a scuola, che guarda caso è proprio dietro il mio lussuoso loft. Ho quindi schivato gli sguardi divertiti dalla bambinanza locale (andare in giro in fuseaux e maglietta aderente nera da uomo ragno a Plužine alle 7.30 di mattina necessita grande autostima), mi sono inerpicato sulla strada che porta al super Albona ed ho iniziato il solito giro, sulla riva del lago.
Ad attendermi una strada trasformata in un campo di addestramento dei marines, con fango alto 4 pollici (10,16 cm), che ha reso, dopo qualche metro, le scarpe pesanti come gli anfibi in dotazione al corpo degli alpini. Dopo un patetico tentativo di proseguire al grido de “il cucchiaio non esiste”, scivolando e affondando nella fanghiglia, ho girato i tacchi, direzione casa (il fango esiste, confermo).
E qui l’errore: visto un sentiero, l’ho imboccato gioioso, infilandomi nel bosco.
Al termine della corsa: mi sono perso innumerevoli volte, ho corso dentro un ruscello e in una specie di permafrost acquoso, mi sono graffiato braccia e gambe con un arbusto insidiosissimo che credo si chiami Spinosus Maledictus e ho saltato una recinzione di filo spinato stile Olio Cuore (no, non ho fatto lo splendido passandola all’ostacolista. Il filo spinato non viene giù se lo prendi con la seconda gamba). Tutto questo violando 4 proprietà private, con latrati di cani in sottofondo. Alla fine, uscito dalla foresta, ho salutato, con estrema nonchalance, un paio di autoctoni un po’ interdetti e me ne sono tornato un po’ pesto ma gaio alla mia kuča.
Ho imparato una cosa: quando temi che le tue chiappe possano essere scambiate per pappa per cani, la paura di spaccarti una caviglia correndo a rottadicollo in discesa passa decisamente in secondo piano.
Autore Cello ora 14:04:00 3 commenti